Potere alla stampa!

Dopo la dubbia (per essere gentili) campagna di #DGlovesChina, dopo la pubblicazione da parte di Diet Prada di quei messaggi privati al limite del razzismo, dopo gli show in Cina cancellati e i maggiori e-commerce orientali che decidono di non vendere più prodotti del brand, dopo il tremendo video messaggio di scuse, ecco che Dolce & Gabbana dice anche basta social, mondo digital, telefonini: viva la carta stampata.

In un mondo sempre più globalizzato, esprimere la nostra unicità è diventato sempre più importante. Spiegare la nostra identità in questo modo è possibile solo attraverso la carta stampata: sfogliando le pagine di un giornale, a una a una, il punto di vista di ciascun fotografo si riconosce chiaramente, a colpo d’occhio. Se avessimo fatto un post, o lanciato una campagna digitale non sarebbe stata la stessa cosa. Per noi questo è il momento di tornare ai magazine, e anche ai giornali, di andare nella direzione opposta rispetto agli altri. Siamo un’azienda del lusso, ed esprimiamo il nostro valore attraverso un punto di vista unico. Nel 2019 la stessa cosa vale per i magazine. Mentre tutti sono sullo smartphone, comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In realtà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura e tempo. Per me è il momento del grande ritorno delle riviste: potere alla stampa!

– Stefano Gabbana, via Vogue

Provo un po’ di tristezza a leggere le dichiarazioni dei due stilisti, che sembrano quasi incapaci di riconoscere che il problema non siano i loro errori, ma i social che si sono permessi di farli notare.

E così fuggono un media che si sono dimostrati totalmente incapaci di utilizzare e gestire correttamente (loro e i loro consulenti); fuggono dalle possibilità di confronto, di una comunicazione a doppia via; decidono di giocare sicuro e provare a ridurre la loro accountability, tornando con rinnovati budget su media tradizionali che mai si sognerebbero di montare polemiche e che pubblicano acriticamente un pezzo come quello sopra riportato.

Ah, che rivoluzione.

 


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